Medjugorje 2-25 novembre 2015-commento

2 NOVEMBRE 2015

Cari figli desidero parlarvi di nuovo dell’amore. Vi ho radunati intorno a me nel Nome di mio Figlio, secondo la sua volontà. Desidero che la vostra fede sia salda e provenga dall’amore, perché quei miei figli che capiscono l’amore di mio Figlio e lo seguono, vivono nell’amore e nella speranza. Hanno conosciuto l’amore di Dio. Perciò, figli miei, pregate, pregate per poter amare il più possibile e compiere opere d’amore. Perché la sola fede, senza amore e opere d’amore, non è quello che vi chiedo. Figli miei, quella è una parvenza di fede, è un lodare se stessi. Mio Figlio chiede fede e opere, amore e bontà. Io prego, ma chiedo anche a voi di pregare e vivere l’amore, perché desidero che mio Figlio, quando guarderà i cuori di tutti i miei figli, possa vedere in essi amore e bontà, non odio ed indifferenza. Figli miei, apostoli del mio amore, non perdete la speranza, non perdete la forza: voi lo potete fare! Io vi incoraggio e benedico, perché tutto ciò che è di questa terra — che purtroppo molti miei figli mettono al primo posto — scomparirà e resteranno solo l’amore e le opere d’amore, che vi apriranno le porte del Regno dei Cieli. Io vi attenderò presso quelle porte, presso quelle porte desidero attendere ed abbracciare tutti i miei figli. Vi ringrazio!

 

25 NOVEMBRE 2015

Cari figli! Oggi vi invito tutti: pregate per le mie intenzioni. La pace è in pericolo perciò figlioli, pregate e siate portatori della pace e della speranza in questo mondo inquieto nel quale satana attacca e prova in tutti i modi. Figlioli, siate saldi nella preghiera e coraggiosi nella fede. Io sono con voi e intercedo davanti a mio figlio Gesù per tutti voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

 

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Il messaggio del 2 novembre richiama alla memoria diversi insegnamenti del Vangelo. Innanzi tutto la guarigione del cieco Bartimeo in Mc 10,46-52, e indirettamente la parabola della pecora smarrita del Vangelo di Matteo e Luca (Mt 18,12-14; Lc 15,3-7).

L’episodio della guarigione del cieco all’uscita da Gerico ha un profondo valore simbolico. Gesù è sulla strada che porta a Gerusalemme, dove sarà crocifisso, ed è in compagnia dei suoi discepoli. Il contesto in cui avviene il miracolo di guarigione è la strada. Un cieco mendicante, Bartimeo, è seduto al margine di questa via. Quando sente passare Gesù inizia a gridare con tutte le sue forze, a chiamarlo per attirare la sua attenzione: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. La folla gli intima di tacere ma il cieco grida ancora più forte. Gesù, allora, si ferma e lo manda a chiamare. La folla, a quel punto, lo incoraggia a presentarsi a Gesù e lui con un balzo, buttato via il mantello, raggiunge il Signore. La scena continua con un breve dialogo diretto tra i due, la guarigione del cieco e le parole di Gesù: “la tua fede ti ha salvato”. A guarigione avvenuta, Bartimeo prende a seguire Gesù lungo la strada.

Lo stesso episodio è presente con alcune variazioni anche nei Vangeli di Luca e Matteo ma nel Vangelo di Marco è più chiaro il suo valore simbolico. Infatti, già si può leggere qui non tanto, o non solo, una guarigione miracolosa ma soprattutto la metafora del cammino di ogni discepolo dietro a Gesù. Un cammino che va verso Gerusalemme, incontro alla Croce, un cammino di fede pieno di ostacoli. Se la strada è immagine del cammino cristiano, la cecità di Bartimeo indica la cecità di coloro che non hanno ancora raggiunto la vera fede, ma che tuttavia nel loro cuore desiderano incontrare Gesù. Tale cecità è un pericolo e un ostacolo ma non è l’unico. Anche la folla si mette di mezzo tra il cieco e Gesù per impedire l’incontro. La folla, in un primo momento, svolge un ruolo negativo e può significare quelle comunità di cristiani che con i loro modi di fare non aiutano coloro che stanno ai margini della strada della fede, come ciechi, ad incontrare Gesù. Tuttavia, il desiderio del cieco è grande e tale desiderio sarà pienamente soddisfatto dal Signore. Il desiderio che lo fa gridare attira la sua attenzione al punto che Gesù si arresta e manda a chiamare il cieco. A questo punto quella stessa folla che dapprima lo aveva ostacolato lo incoraggia ad affrettarsi verso il Signore che lo chiama. E qui abbiamo una bellissima immagine della comunità che diviene strumento di incontro tra il cieco e Gesù. Non solo chiama il cieco ma persino lo incoraggia: “Coraggio! Gesù ti chiama!”. Una volta entrato in dialogo con Gesù – e qui vediamo l’importanza del dialogo personale del credente col Signore – il cieco recupera la vista e finalmente vede chi ha davanti: la tenebra ha lasciato posto alla vera fede, una fede che ora è piena. Recuperata la vista lo segue lungo il cammino: è la fede nel Figlio di Dio che guarisce e permette all’uomo di mettersi dietro a Gesù con gioia, di lasciare il margine della via per camminare al suo seguito verso la salvezza.

In questo episodio alla fede seguono le opere. La folla illuminata dalla parola di Cristo corregge il suo atteggiamento e aiuta il cieco ad incontrarlo. Il cieco trovata la fede si mette al seguito di Gesù. La fede richiede le opere di amore.

Proprio questo è l’invito della Regina della Pace. Le comunità cristiane e singoli che dicono di avere fede ma non compiono opere di amore sono ciechi perché in realtà non hanno ancora conosciuto Gesù. Così diventano motivo di inciampo e ostacolo alla salvezza degli altri. E’ un invito a correggere i comportamenti falsamente cristiani che non solo ingannano se stessi ma anche gli altri, provocando scandali all’interno delle stesse comunità cristiane e l’allontanamento di tante persone con un profondo desiderio di Dio, un Dio che forse non conoscono ancora ma che nel cuore li attira a sé, aspettando che le comunità e i singoli fedeli intervengano, come strumenti, perché si attui la salvezza.

“Figli miei, quella è una parvenza di fede, è un lodare se stessi”.

Un’altra parola su cui riflettere è la parabola della pecora smarrita. In Matteo il contesto è quello del discorso ecclesiastico (comunitario) che Gesù rivolge agli apostoli per insegnare loro a vivere da veri discepoli secondo le esigenze del Regno di Dio; in Luca il contesto è quello delle tre celebri parabole della misericordia, con le quali Gesù risponde alle contestazioni dei farisei che lo vedevano mangiare assieme ai pubblicani e ai peccatori.

Anche in questo caso l’esempio del pastore che lascia le novantanove pecore per cercare quella smarrita (e in Matteo si tratta di uno smarrimento che implica responsabilità da parte di chi si è allontanato), richiama ancora una volta l’attenzione a correggersi qualora si è portati a disprezzare quelli che si perdono. In Luca la risposta di Gesù ai farisei che contestano è chiara: l’amore del Padre è gratuito ed è per tutti, non solo per i figli fedeli (si veda anche la parabola del “figliol prodigo”). Gesù, nel quale possiamo vedere l’immagine del buon pastore, ricerca gli smarriti per ricondurli alla casa del Padre e alla gioia del Regno. Ad imitare questo amore divino sono chiamati tutti i discepoli, singolarmente e comunitariamente, avvertendo la responsabilità personale per la salvezza di tutti. Il contesto di Matteo manifesta la particolare attenzione di Gesù per i piccoli, ossia per i deboli delle comunità, che potrebbero essere anche quei fedeli che più degli altri sono soggetti a scandali e rischiano di allontanarsi dalla Chiesa per i cattivi esempi di chi li circonda. “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli” ammonisce Gesù prima di introdurre la parabola del buon pastore. E’ sul suo esempio che ogni cristiano può credere e operare come vuole il Padre, perché in Gesù ciò che si rivela è proprio la misericordia del Padre. Non a caso, infatti, il versetto conclusivo della parabola in questione rimanda alla gioia del Padre per la conversione del peccatore.

E’ bene infine ricordare che la misericordia di Dio non esclude la giustizia, ma ciò che qui ci interessa sottolineare è l’attenzione che il Signore ha per ciascuno e con quanta cura e sollecitudine si adopera perchè tutti possano entrare nel suo Regno. Davvero fino alla fine il Signore cerca l’uomo perchè non si perda, donandogli infinite oppurtunità di salvezza. Questo, certamente, non esclude, anzi lo esige, la risposta di fede da parte dell’uomo, che libero di accettare o rifiutare l’invito alla salvezza, può scegliere consapevolmente il suo destino eterno: di gloria o di condanna.

Pubblicato da Vivete nella gioia! -blog

LA GIOIA DEL SIGNORE E' LA NOSTRA FORZA!

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