DONNA: vocazione all’amore

tratto da “Ecco tua Madre” di Anna Maria Canopi
[…] In Maria la Chiesa contempla perciò l’inizio e già la perfetta realizzazione della propria elezione, vocazione e missione. In lei ha il suo incomparabile modello per vivere la sua chiamata alla santità, nell’amore.
Proprio da questa fondamentale vocazione all’amore, in cui azione e contemplazione sono aspetti complementari della stessa realtà, della stessa tensione a Dio, scaturiscono i vari carismi e ministeri ecclesiali.
Ma a questo punto osiamo anche dire che, se l’amore è la vocazione fondamentale e irrinunciabile di ogni uomo e – nel senso più vero – di ogni cristiano, questo si verifica in modo del tutto particolare nella donna, a motivo della sua anche naturale congenialità all’altruismo, all’oblatività.
Forse è ingenuo parlare così, ma vorrei dire che al di là di tutto quanto oggi, dai diversi punti di vista, si va dicendo riguardo alla donna e al suo ruolo specifico; al di là di quanto persino molte donne pensano di se stesse e ritengono di dover sostenere o rivendicare, al di là di tutto questo non si possono misconoscere i dati essenziali e costanti della femminilità per cui, normalmente la donna esprime il meglio di se stessa nel mettersi al servizio della vita, sia nell’ambito della vita fisica che della vita spirituale.
Proprio perché nel piano provvidenziale della creazione ad essa è affidata la cura della vita umana nel suo germinare e nel suo svilupparsi, le è pure dato un adeguato potenziale di intuizione e di tenerezza per accogliere, custodire, proteggere, nutrire, consolare…
Il suo dono specifico, di natura e di grazia, è la “pietà”. La “pietà” nel senso biblico, il più genuino, che non indica un sentimento di commiserazione verso qualcuno ritenuto spregevole, ma un patire d’amore tenerissimo per qualcuno che è considerato come un prezioso tesoro (cf Is 43,1-5; Os 11, 1-9), come un altro se stesso.
E’ vero che la cronaca dei nostri giorni registra, con crudo realismo, una situazione da cui si potrebbe dedurre l’affermazione opposta a questo volto della donna, tuttavia rimane vero che migliaia di casi degeneri non annullano la normalità.
A confermare questo basterebbe anche soltanto il caso di Maria, la donna che Dio ha resa del tutto autentica, riversandole in seno tutti i doni di natura e di grazia e facendone una madre di infinita tenerezza per se stesso fatto uomo e per l’intera umanità.
Nella Chiesa, nella famiglia, in ogni ambito della vita sociale, la donna – riabilitata in Maria – non ha, per sé, bisogno di occupare posti di autorità o di prestigio, poiché, se vive autenticamente la sua fondamentale vocazione e mette in atto i suoi doni, si trova sempre e comunque al “primo posto”, cioè al posto centrale spettante all’amore. Da questo posto di interiorità che è il cuore, la donna cristiana esercita una profonda e costante influenza benefica su tutti gli aspetti e i momenti dell’esistenza.
Che senso ha allora– ad esempio – contestare il fatto che nella Chiesa la donna non sia ammessa al sacramento dell’ordine sacro?
Ciò non significa che le è negato un diritto alla parità con l’uomo, ma che le si riconosce un altro “dono”, un altro modo di esercitare il suo sacerdozio, conforme al suo carisma di interiorità.
La donna infatti, porta già alla sorgente profonda del suo essere una unzione che la consacra in modo permanente e definitivo al servizio del progetto di Dio per la vita. Il suo stesso cuore è il vero altare su cui viene incessantemente offerto il sacrificio di tutto l’amore e il dolore umano.
Per la donna di ogni tempo, quando è semplicemente quello che deve essere nell’ordine della creazione e della redenzione, c’è davvero una sola vocazione possibile e reale: l’amore.
Che essa si realizzi nella vita coniugale e familiare o nella verginità consacrata, in una professione o in un servizio non qualificato, nell’apostolato attivo o nella vita contemplativa, se il suo impeto vitale è sano, la donna tende sempre al dono totale di sé, quindi ad una sconfinata maternità spirituale che supera tutti i condizionamenti biologici e temporali per situarsi nell’ordine delle realtà che non passano, com’è appunto l’amore.
Quando la donna è vera, è madre; e quando una madre è veramente madre non lo è di pochi figli, ma di tutti: tiene sulle sue braccia tutta l’umanità come un unico figlio. Così com’è per Maria.
Ma perché possa raggiungere questa sua vera maturità, occorre dare alla donna – fin dalla fanciullezza – gli aiuti e i mezzi necessari allo sviluppo dei suoi doni. Occorre anzitutto aiutarla ad acquisire la vera libertà mediante l’“educazione del cuore”.

L’educazione del cuore, del nucleo centrale della persona umana, della donna in particolare, è ciò che sempre più urge, perché se il cuore non è capace di vero amore, prevalgono i sensi di egoismo. Forse oggi, sia in famiglia che a scuola si è fin troppo solleciti nell’informare le ragazze sulla sfera della sessualità; non altrettanto premurosi, invece, nel dare loro un’adeguata formazione spirituale, aiutandole a scoprire – alla luce del vangelo – la dimensione dell’interiorità, in cui si coltivano i valori indispensabili della castità, dell’umiltà, del silenzio, della preghiera…
Si può quasi affermare che vera donna non si nasce, si diventa, sviluppando pazientemente le potenzialità personali in cooperazione con la grazia divina. E’ lo stesso discorso della santità.

Non potrò mai dimenticare l’effetto che ebbe su di me un versetto della S. Scrittura citato in latino da una mia insegnante di scuola media: “ Gratia super gratiam mulier sancta”. Grazia su grazia è una donna santa. E il resto continua “ Non si può valutare il peso di un’anima modesta. / Il sole risplende sulle montagne del Signore, / la bellezza di una donna virtuosa adorna la sua casa….” (Sir. 26, 15-16).
Questa parola sentita durante una lezione di latino fu per me la rivelazione del segreto della vera bellezza, non quella delle forme esteriori, ma del volto interiore.

Si, grazia su grazia è la donna santa, perché tale donna – di cui Maria è l’esemplare perfetto – in ogni situazione è portata a manifestare la gratuità e l’oblatività dell’amore, a incarnare la divina “pietà”. E questa donna è tanto più grande quanto più umile. Non umiliata, non avvilita ( non è questa l’umiltà), ma spontaneamente espropriata di sé per farsi dono.
“ Là dove la donna è più profondamente se stessa, non è più se stessa” diceva paradossalmente Gertrud von le Fort “ perché si è totalmente donata”.

E ancora: “ E’ in quanto madre che la donna è stata tacitamente costituita legataria dell’immensa eredità di miseria e di fatica che aggrava l’umanità”.
Ma dove trovare davvero questa donna “santa” in cui si conciliano forza e dolcezza, umile bontà e coraggiosa intraprendenza, spirito di abnegazione e stupore di gioia, questa vera donna la cui sola presenza è dono di consolazione e richiamo ai valori eterni? Dove la si può ancora trovare? Non stiamo forse ostinatamente inseguendo un sogno, un’utopia?
La realtà del quotidiano ci pone continuamente sotto gli occhi una figura di donna artefatta, spesso dissacrata, tale da apparire non più limpida fonte, ma torbida palude in cui la vita anziché accoglienza e protezione trova rifiuto e morte. E’ questa donna che, oggi come ieri, “fa problema”, il problema più grave e inquietante, proprio per le tristi conseguenze che la degradazione della donna porta a ogni livello della vita umana.

La donna non può essere felice se non rendendo felice gli altri; quando si chiude in se stessa e nega il suo sorriso, il suo amore, è come se dall’orizzonte umano scomparisse la luce del sole. Viene meno ciò che è indispensabile per il normale sviluppo della vita.
Nel mondo di oggi ci sono tante zone oscure dovute a questa carenza. Vedere però la soluzione del problema soltanto nel fare spazio alla donna – a parità con l’uomo – nel campo professionale e sociale o, sia pure, dei servizi ecclesiali, significherebbe aggravarlo. Infatti in tal modo, puntando su un aspetto secondario del problema e trascurando l’essenziale, si spinge la donna a cercare di realizzarsi nel “fare” anziché nell’ “essere”; la si mette in condizione di non riconoscersi più in ciò che è veramente costitutivo della sua personalità e la si induce a farsi un’idea idi sé, della propria immagine, deformata: non corrisponde a quella che è nella mente e nel cuore di Dio creatore.
E’ sempre guardando a Maria che possiamo vedere a che cosa è chiamata la Chiesa, e in special modo la donna, in ogni luogo e in ogni tempo.
 
“O Maria, Maria, tempio della Trinità!
– così pregava santa Caterina da Siena –
0 Maria mare pacifico,
Maria donatrice di pace,
Maria terra fruttifera
O Maria, carro di fuoco,
tu portasti il fuoco nascosto e velato
sotto la cenere della tua umanità…
Tu, o Maria, sei fatta libro
nel quale oggi è scritta la regola nostra.
In te oggi è scritta la sapienza del Padre,
in te si manifesta, oggi,
la fortezza e libertà dell’uomo…
Perché se io ti guardo,
vedo che la mano dello Spirito Santo
ha scritta in te la Trinità,
formando in te il Verbo incarnato.
O Maria,
benedetta sii tu fra tutte le donne!”
Si, “benedetta tu fra le donne”, ma anche “benedette in te tutte le donne che si riconoscono nella tua esperienza di grazia”.
Come Maria, infatti, la donna cristiana è chiamata a “stare con il Signore” per essere un mare di carità e di pace in cui l’umanità si può bagnare e ristorare; è chiamata a “stare” alla sorgente del grande fiume delle generazioni umane e insieme a seguirne il corso e a trovarsi alla sua foce, al suo sbocco nell’oceano infinito della vita divina.
Come Maria, la donna che dice il suo “si alla vita” secondo il progetto di Dio, si lascia afferrare dalla corrente dello Spirito e partecipa della divina potenza creatrice e consolatrice. E in quanto vergine del cuore è ancora più madre, e sta accanto alla culla di ogni uomo che viene al mondo – mistero della maternità nello Spirito – per introdurlo nel regno della vita.
Come Maria, la donna con il suo “si all’amore”, illumina di speranza e di gioia la vita umana dall’alba al tramonto.

Ma se dice “no” – come purtroppo può anche fare – se dice “no” all’amore e alla vita e aspira a emanciparsi dal suo ruolo materno, getta il mondo nelle tenebre e nel pianto inconsolabile. Allora, anziché essere la creatura il cui dono è di essere “con” e “per” gli altri, diventa una angoscioso enigma e un essere in conflitto con se stesso e “contro” gli altri.
E’ evidente, la donna che rifiuta la sua fondamentale vocazione ha la tristezza di una fonte inaridita, di un fuoco spento, di una terra incolta, di un cielo senza stelle…di tutto quello che ha perduto la sua ragion d’essere; ha la tristezza di una promessa mancata.
Di questa grande tristezza – anche se si presenta sotto mille altri nomi di ambiguità e di illusione – lo sappiamo, sta soffrendo tutto il mondo.
Eppure la situazione non è ancora né mai sarà disperata. Infatti, Maria, la donna vera, la donna santa, è e rimane per sempre il grande segno della speranza. Nel suo splendore, ella è incomparabile, ma “non è sola” a risplendere sul cammino dell’umanità. Le fa corona un’immensa schiera di “sorelle”: donne della sua stessa stirpe, a cui è stata data la “sapienza del cuore”. Con Maria, queste hanno saputo e sanno dire “si” all’onnipotenza di Dio, perché l’ “impossibile si faccia evento” : con lei custodiscono e fanno germinare il seme di una sempre nuova speranza proprio là dove la vita sembra inesorabilmente profanata e devastata.
Perciò possiamo e dobbiamo essere ottimisti ad oltranza.

Anche se il mondo venisse distrutto dal folle gesto della mano dell’uomo, anche se tutte le sorgenti della vita venissero inquinate o prosciugate, anche se tutto ricadesse nel caos, il “fiat” che Maria disse a Nazareth e con Gesù sul Calvario, ci assicura che tutto potrebbe ricominciare, anzi, che nulla andrebbe perduto, perché l’amore ha già vinto e ha inaugurato la nuova creazione, quella dello Spirito, che è indistruttibile. […]

Pubblicato da Vivete nella gioia! -blog

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